To Rome with Love: elogio della demenza targato Allen







Per l'affermazione che sto per fare forse non sarò considerato un ''purista'' di Woody Allen, ma devo ammettere che gli ultimi lavori del regista newyorkese, da Match Point a Basta che funzioni, fino al recentissimo Midnight in Paris, possono essere ritenuti dei piccoli gioielli, opere d'arte alla maniera di Allen, anche se non intrise della vena geniale dei tempi d'oro del vecchio ''umorista''. I temi della colpa impunita, dell'assenza di una morale nel mondo, dell'ambizione nella scalata sociale, il problema del dualismo Caso/Necessità, e altre tematiche fondamentali care ad Allen sono trattate con il solito stile inconfondibile, con leggerezza, brio e soprattutto grande intelligenza e sensibilità. L'amata musica jazz, Cole Porter in Midnight in Paris, ma anche la musica classica, Verdi e Rossini in Match Point, erano più di un semplice accompagnamento mentre si susseguivano le inquadrature dei luoghi celebri delle capitali europee celebrate da Allen, da Londra a Parigi a Barcellona (che non sarà la capitale ma è un simbolo più che celeberrimo della Spagna moderna). Beh, scordatevi tutto ciò (o quasi) per To Rome with Love. La bulimia creativa di Allen lo ha fatto approdare in Italia, con l'intenzione ,per cosi dire, ''ufficiale'' di celebrare il nostro Paese e, in particolare, Roma. Woody si ispira vagamente alle novelle del Decameron di Boccaccio per questo film a episodi, quattro storie, palesemente ispirate alla commedia sexy italiana degli anni '70, come il famoso Sessomatto (1973) di Dino Risi. Woody sfrutta la straordinaria location con il solito talento, rendendo anche i monumenti, le strade, gli edifici dell'Urbe quasi dei personaggi come gli altri. Fino a questo punto, niente di nuovo sotto il sole, sappiamo che Woody è stato capace di rendere questa atmosfera anche a Parigi, a Londra e soprattutto a New York. Ma la tragedia che si profila è già annunciata nei primi minuti del film: parte una Nel blu dipinto di blu che andando avanti nella visione si scoprirà più inadeguata che mai, e un vigile introduce le storie che si stanno per svolgere: quattro episodi, uno più sgangherato e banale dell'altro, pieni di stereotipi. Giunto in Italia, a pochi mesi dalla realizzazione di un ottimo film come Midnight in Paris, Allen porta sullo schermo delle storielle frutto di frettolosità nella sceneggiatura, scarso sviluppo dei temi e grossolanità. L'intelligenza e la profondità di cui si parlava prima, vengono qui mandate letteralmente al diavolo, accantonate dal regista, a favore di una comicità di bassa caratura, di una svogliatezza ancora non dimostrata da Allen neanche nelle sue peggiori pellicole del passato. L'episodio con Penelope Cruz è l'emblema dell'assoluto disinteresse di Allen nel dare un senso, non necessariamente logico, ma un qualunque significato, anche estetico se vogliamo come in Manhattan, a questo delirio di comicità scadente, più consona al nostrano ''cinepanettone'' dei Vanzina che a Woody Allen. Il masochismo del newyorkese è tale che opta per gli attori italiani se vogliamo più di moda, ma forse anche più incompetenti del momento: Alessandra Mastronardi (la Eva de I Cesaroni per intenderci...) nel ruolo di una novella sposa apparentemente pudica e santarellina ma attratta dalle star del cinema; Riccardo Scamarcio nel ruolo di un ladro che seduce la Mastronardi; Alessandro Tiberi, nel ruolo del giovane marito della Mastronardi, un borghesuccio schivo, fedelissimo alla moglie,moralmente intransigente, conformista, inibito sessualmente, ma cederà in poco tempo alle grazie della prostituta interpretata da Penelope Cruz, che qui tocca il fondo della sua carriera di attrice. Per gli Italiani si può fare eccezione per gli ottimi Benigni e Albanese, anche se purtroppo è doveroso asserire che, a prescindere dalla pur buona interpretazione, il primo è totalmente fuori contesto, protagonista di un episodio che parte bene ma sfocia nella ripetitività e nella banalità, l'altro invece interpreta un ruolo veramente infelice, una sorta di attore''mandrillo'' che, come non detto, tenta di sedurre la Mastronardi. L'episodio in cui Woody Allen recita nel ruolo di un produttore discografico ormai in pensione che scopre il talento da cantante lirico nel consuocero cercando di farlo sfondare nel mondo dell'opera, è un elogio alla mediocrità e alla mancanza di idee; l'episodio in questione viene reso godibile soltanto dalle solite battute alleniane ('' Se sei in contatto con Freud, fatti ridare i miei soldi!''). Solo nell'episodio con Alec Baldwin e Jesse Eisenberg sembra esserci un pur minimo tentativo del regista di ricordare a tutti che, fra i motivetti ridicoli della colonna sonora e il susseguirsi di vicende di rara potenza demenziale, è proprio Woody Allen a dirigere tutta la baracca: in questa vicenda un giovane architetto americano è fortemente attratto da una strana radical chic molto frivola con cui ha una relazione tradendo la fidanzata. Tutti i personaggi però sono continuamente alle prese con una sorta di inconscio collettivo rappresentato da un anziano architetto, che li consiglia e discute con loro. Forse Allen ha definitivamente abbandonato le teorie freudiane a favore di quelle jungiane? Probabile, ma tornando al film, l'episodio resta comunque un abbozzo, un esercizio di stile, parzialmente riuscito nel complesso.
Purtroppo, per quanto ci si possa sforzare di interpretare questa pellicola come satira dei corrotti costumi della borghesia italiana, critica a certo cinema nostrano e ai mass- media ed elogio ( che si ferma al piano puramente estetico) della città di Roma, purtroppo la sceneggiatura sgangherata da cui scaturiscono storielle di scarso spessore e povere di contenuti, non può che decretare il fallimento di Allen, la cui grande forza espressiva trova quasi sempre in una solida e ben congegnata sceneggiatura la sua migliore manifestazione.
Purtroppo e per fortuna, Allen realizza mediamente un film all'anno ininterrottamente dal 1966, ha recentemente dichiarato che lo ritiene il miglior sistema per esorcizzare il pensiero della morte, per lui, ormai quasi ottantenne, l'arte cinematografica è taumaturgica, e il suo pubblico, soprattutto europeo, ha la certezza che annualmente Allen sfornerà un' altra pellicola. Ma, naturalmente, con questi ritmi di produzione filmica che accorciano drasticamente la distanza fra una pellicola e l'altra, è perfettamente comprensibile che ci scappi qualcosa di superfluo. Dispiace, naturalmente, che Allen abbia toppato proprio in occasione del film italiano, da cui si evince che il newyorkese consideri il nostro Paese come una sorta di circo di vecchi stereotipi senza vita (certo, l'immagine dell'Italia nel mondo dà adito a queste teorie...), nonostante la profonda ammirazione di Allen per i grandi registi come Fellini, per la nostra musica e per la nostra arte, quindi in generale, giustamente, per il nostro illustre passato.
Si consiglia ad Allen una vacanza di almeno 2-3 anni, affinchè ritorni presto con un film che lo aiuti veramente ad allontanare lo spettro della morte, che Allen sembra addirittura invitare a casa sua più che cercare di tenerlo lontano realizzando film come To Rome with Love.

di Andrea Raciti


VOTO: **


Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Produzione: Letty Aronson
Interpreti principali: Woody Allen, Roberto Benigni, Alec Baldwin, Jesse Eisenberg, Penelope Cruz, Alessandra Mastronardi, Alessandro Tiberi.
Genere: Commedia
Anno: 2012


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